Articoli su Giovanni Papini

2000


Gregorio Piaia

Da Giovanni Papini a Ugo Foscolo. Note sulla fortuna di Bayle in Italia

Pubblicato in:: Rivista di Storia della Filosofia, vol. 55, num. 1, pp. 99-104.
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Data: 2000



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«L'Italia in Bayle, Bayle in Italia: una ricerca mancata». Così, con un efficace chiasmo dal tono critico, suona il contributo con cui Carlo Borghero apre gli atti di un seminario che si svolse all'Istituto Universitario Orientale di Napoli nei 1993 e che riproponeva all'attenzione degli studiosi un tema di ricerca già lucidatnente avviato da Eugenio Garin alla fine degli anni cinquanta 1. Il recente articolo sulla presenza di Pierre Bayle in Giacomo Leopardi, opera dell'italianista Mario Andrea Rigoni, ha introdotto un elemento interdisciplinare di grande interesse nel quadro sinora delineato dagli storici della filosofia 2 L'analisi delle fonti filosofiche del poeta di Recanati, lungi dall'esaurirsi in un'operazione meramente erudita, consente infatti di mettere meglio a fuoco alcuni temi di sconcertante attualità, ma che affondano le loro radici negli aspetti più critici e "negativi" di quella cultura settecentesca che costituì l'immediato retroterra del giovane Giacomo. In particolare l'idea della ragione quale «strumento di distruzione piuttosto che di costruzione» (che già Francesco De Sanctis aveva posto in evidenza) 3. appare direttamente ispirata — nota


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il Rigoni — dalle considerazioni svolte da Bayle nella remarque D del celebre articolo sui Manichei, uno dei testi-simbolo del secolo dei lumi 4.
   La disamina svolta dal Rigoni è assai stimolante e ci induce a segnalare a nostra volta un paio di casi in cui il richiamo esplicito a Bayle assume un certo rilievo nella storia della cultura italiana, con l'avvertenza che si tratta di semplici schegge o frammenti, da riporre fra il materiale da costruzione in attesa che il «grosso volume» sulla fortuna di Bayle in Italia, auspicata più di quarant'anni fa dal Garin 5, trovi finalmente un autore o un'autrice. Prendiamo le mosse dalle pagine del citato saggio del Borghero in cui si rileva la scarsa presenza di Bayle nella storiografia italiana del primo Novecento, ovvero nelle opere di Giovanni Gentile e di Benedetto Croce, e poi nella vasta monografia che Gaetano Capone Braga dedicò a La filosofia francese e italiana del Settecento (II ed.., Padova 1941-1942) 6. Il rammarico del Borghero é più che giustificato, poiché uno studio della presenza di Bayle nella cultura italiana del primo Novecento può riservare qualche piccola ma felice sorpresa. Mi riferisco non alla storiografia, un campo solitamente assai poco eccitante, bensì a quel vario ed intrigante territorio in cui convivono insieme letteratura e filosofia: una terra di tutti e di nessuno, aperta alle incursioni e alle contaminazioni più varie e per questo sovente trascurata dagli addetti ai lavori, siano essi storici della letteratura o della filosofia. L'autore in questione, a dire il vero, può apparire assai poco raccomandabile, poiché si tratta di quel Giovanni Papini che, dopo aver riempito di sé le cronache letterarie del primo Novecento, è stato oggetto dopo morto di una vera e propria rimozione da parte degl'intellettuali italiani, perché troppo indisponente e scomodo. Basti, per tutti, il severo giudizio emesso da Norberto Bobbio: «Incorreggibile, sempre perseverante e farneticante, [...] geniale e sregolato, vanitoso sino all'esibizionismo più impudico, fabbricatore a getto continuo di scandali culturali, dedito all'esercizio, nei momenti di tensione, di un vero e proprio terrorismo intellettuale. Combatté mille battaglie e tutte sbagliate. Credendo di essere sempre sulla linea del fuoco, non si accorse di sparare a salve contro bersagli arretrati e immaginari 7.


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   Il Bobbio ha sottolineato gli atteggiamenti dissacranti e il ribellismo irrazionalistico di questo scrittore, quali si esprimono, ad esempio, nel ritratto che lo stesso Papini tratteggiò di se stesso nell'introduzione a L'altra metà. Saggio di filosofia mefistofelica: un autoritratto che, ad onta delle critiche rivolte da Papini a Nietzsche, viene giudicato come «una versione involgarita dell'ideale nietzschiano del filosofo "tentatore"» 8. In verità, se si guarda oltre l'iniziale sarabanda di fuochi d'artificio e l'irritante mistura di toni apodittici e di semplificazioni concettuali, questa presunta filosofia "diabolica" altro non è che una rassegna, non priva di efficacia, dell'"altra metà" dell'uomo, ossia di tutto ciò che non viene rischiarato dalla luce della nostra razionalità: «L'altra metà e dunque lo studio dei concetti negativi, la ricerca e l'analisi di ciò che si contrappone ai concetti riconosciuti, desiderati, normali, utili e benedetti», come il Nulla, il Diverso, l'Impossibile, l'Ignoranza, l'Errore, la Pazzia, il Non fare, il Male, l'Inutile... 9. Ad ognuno di questi concetti negativi è dedicato un capitolo; l'ultimo — sull'Inutile — si chiude con alcune riflessioni dal titolo «La morale eroica dell'inutile», poste significativamente sotto il patronato di un poeta "maledetto" come Baudelaire, di cui é riportata in esergo la frase «Être un homme utile, m'a paru toujours quelque chose de bien hideux» 10. Giuocando abilmente, com'era solito, sui paradossi, Papini nota come il «pessimismo cosmico e universale» derivi in gran parte dal nostro continuo bisogno di trovare un qualche vantaggio o compenso al nostro pensare e agire: un bisogno che si rivela però dei tutto vano e inutile qualora si prenda coscienza del fatto che l'umanità e lo stesso globo terrestre sono destinati a scomparire «nel gelido e sconfinato buio dello spazio». Le religioni e le filosofie hanno cercato di porre rimedio a questa prospettiva di totale assenza di senso e quindi di «compenso», che rende la vita umana intrinsecamente inutile e «cattiva». Ed ecco le risposte fornite dal buddismo, dal cristianesimo e poi da Nietzsche, per il quale «la vita è cattiva, ma bisogna consentire a viverla per contemplarla, perché è bella agli occhi dell'artista». Si tratta — commenta Papini — di un «tentativo di estrarre la medicina dal veleno, ma una medicina che solo pochissimi possono distillare e gustare», laddove per lo scrittore fiorentino è «dallo stesso riconoscimento del male e della vanità della vita [che] dovrebbe uscire, quasi come contrapposto e rimbalzo, l'accettazione e l'affermazione della vita» 11. In tal modo il più radicale nichilismo e l'irrazionalismo più spinto si trasfigurano in una visione eroica dell'umana condizione, in cui l'agire e il pensare vengono legittimati e valorizzati non malgrado la loro inutilità, ma proprio grazie ad essa 12.
   È qui che s'innesta il richiamo a Pierre Bayle, non diretto, bensì attraverso la mediazione di un altro personaggio, che ci riporta — guarda caso — ai tempi del


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giovane Leopardi: Ugo Foscolo. «Questo eroismo — osserva infatti Papini in nota — di chi ha perduto la fede nella verità e pur continua a cercarla fu visto dal Foscolo là dove confronta la sorte di Cortesie e di Bayle. "Chi de' due fu meno infelice nel mondo? A me pare Cartesio: ma se Bayle non fu atterrito da quel suo pirronismo, se trovò in tutte le cose discordia e incertezza ed errore e notte perpetua e nondimeno fu sì forte d'animo da tenere aperti sempre gli occhi in quel Caos, io lo giudicherei l'intelletto più eroico che abbia creato mai la natura" (Epistolario, II, 130). Si ricordi — conclude Papini — anche la magnifica frase di Proudhon: "Tout ce que je sais je le dois au désespoir"» 13.
   Dalla «mefistofelica» filosofia del Papini d'anteguerra spostiamoci dunque a questo riferimento foscoliarso a Bayle, racchiuso in una lunga lettera che il poeta scrisse alla contessa d'Albany il 21 dicembre 1815 dalla Svizzera, in cui s'era volontariamente esiliato. L'accenno a Bayle non è irrilevante, se si tiene presente che il poeta menzionerà più volte questo autore nelle opere composte in Inghilterra, ove si sarebbe stabilito dopo il breve soggiorno svizzero. Egli cita espressamente gli articoli del Dictionnaire su Dante, Guido Cavalcanti, Lutero„ Vorstius, Luigi XIV, Belot, ma si rifà pure a un passo delle Pensées surl la comète a proposito degli effetti prodotti dalle sregolatezze (dérèglements) delle donne; lo scrittore francese é inoltre nominato in più riprese con tono elogiativo («sommo critico», «the illustrious Bayle»,, «il grandissimo Bayle»), anche se non manca talora una punta d'ironia, come quando egli è definito «Ercole della letteratura» 14.
Accanto a Montesquieu e Volmire, Bayle è citato come colui che introdusse un nuovo metodo di trattare la storia, che «i nostri posteri forse potranno migliorare o peggiorare; ma gli scrittori dell'età nostra devono servirsene» 15; ed è interessante, in particolare, la comparazione con un altro grande uomo di lettere del primo Settecento, il veneziano Apostolo Zeno, nella quale si dà risalto al tipico atteggiamento bayliano della chasse aux erreurs 16.
   Ma veniamo al contesto in cui si colloca il brano del Foscolo che aveva attratto l'attenzione di Papini. La lettera alla contessa d'Albany, dal tono assai personale, è tutta incentrata sulla replica al rimprovero di «affettata singolarità» di comportamento. Da qui un'appassionata autopologia del poeta„ alternata al rimpianto per quanto ha dovuto lasciare in Italia e a notizie sulla vita ch'egli sta conducendo in terra elvetica. È pieno inverno e nella modesta casa del pastore protestante di Hottingen che lo ospita da un paio di mesi non ci sono libri, ma di ciò il poeta non sa se dolersi o rallegrarsi, giacché non è detto che la possibilità di leggere molti libri ci renda più felici. I personaggi portati ad esempio, Cartesio e Bayle,


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sono rappresentativi dei due volti del pensiero francese del Seicento: il razionalismo, che almeno programmaticamente respinge l'auctoritas dei libri per puntare sulla rigorosa analisi condotta in proprio, e la critica libertina e scettica, che trae alimento dall'indagine rigorosa sul vasto mondo dei libri e dal conseguente sentimento di désespoir le la vérité. Poste così in contrapposizione, le figure di Cartesio e di Bayle finiscono per rappresentare, rispettivamente, la felicità di chi trova in sé i fondamenti della verità e l'infelicità di chi, dibattendosi vanamente nella sterminata e babelica congerie dei libri e delle opinioni, finisce per dubitare non solo dei grandi principi metafisici ma anche dei fatti storicamente accaduti, mentre — e qui il Foscolo sfiora un tema leopardiano — è necessario disporre di un qualche «lume», sia pure «illusorio» 17.
   Certo, questi pensieri sono soltanto una digressione («Questo e simili inezie io vado fantasticando — nota subito dopo il poeta —, ora che il freddo e i ghiacci m'impediscono di girare; e per moverrni nella mia stanza fo spesso come l'orso nella gabbia di ferro,,,») 18. Eppure l'ammirazione per la figura intellettuale di Bayle che traspare da quelle righe, anche se temperata dall'uso del verbo al condizionale («io lo giudicherei l'intelletto più eroico che abbia creato mai la natura»), non è estranea alla visione foscoliana del mondo e dell'uomo. Si pensi, ad esempio, all'aperta professione di scetticismo e nichilismo che un paio d'anni addietro era stata specularmente affidata al "ritratto" di Didimo Chierico 19, o, per converso, al rifiuto netto dell'«assioma» cartesiano dell'uguale capacità di raziocinio presente in tutti gli uomini 20. Ma è soprattutto il tema dell'eroe che trova una duplice, significativa


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corrispondenza: anzitutto nelle prime pagine della lettera in questione, dove il Foscolo traccia di sè un autoritratto che sembra avere il suo corrispettivo nell'intelletto eroico» di Bayle 21; e poi nello stesso Dictionnaire historique et critique in cui il tema drammatico dell'eroe del pensiero, sia pure in chiave strettamente filosofica e non romantica ed esistenziale, é ben presente, ad esempio, nell'articolo sul filosofo greco Senofarie. Questi spinse l'ardire dell'intelletto sino al punto d'innalzarsi a un monismo assoluto, superiore allo stesso spinozismo, per poi cadere nel "precipizio" — é lo stesso termine usato dal Foscolo — dello scetticismo totale 22. E Bayle, a sua volta, pur trovandosi a vagare in questa profonda e oscura valle in cui non v'è che «discordia, e incertezza, ed errore, e notte perpetua», non rinunciò mai all'esercizio vigile e lucido della critica, in una sorta di titanica opposizione al Caos: una sfida destinata inevitabilmente a fallire, ma proprio per questo degna dell'ammirazione che si è soliti avere per gli eroi...
   È tempo di chiudere queste rapide annotazioni. Dal désespoir de la vérité di Bayle (collegato al pirronismo storico) al mito foscoliano dell'eroe sino ai fermenti irrazionalistici e pragmatistici di un Papini, che gettarono lo scompiglio nella cultura ufficiale dei primi tre lustri del nostro Novecento; né si dovrebbe trascurare il risalto che un pensatore come Giuseppe Rensi diede allo scetticismo bayliano, colto nella sua valenza piú innovativa 23. Si tratta — lo ripetiamo — di poche schegge, che lasciano però intravvedere un percorso d'idee e suggestioni in cui anche il Leopardi della "ragione distruttiva" verrebbe ad inserirsi in modo organico. Sarebbe certo azzardato, allo stato attuale delle ricerche, vedere in tale percorso lo specifico della fortuna di Bayle in Italia, una volta esauritosi il ciclo delle polemiche settecentesche intorno alla società degli atei e al dualismo manicheo. Si tratta comunque di una linea d'indagine che potrebbe arricchire la Wirkungsgeschichte di un autore che si colloca, quale signum contradictionis nella volta cruciale della cultura europea verso la piena modernità.


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